notizie e commenti di padre Filippo dalla missione di Sighet, Romania

notizie e commenti di padre Filippo dalla missione di Sighet, Romania

Nascita di una vocazione

padre Filippo Aliani, missionario a Sighet (Romania) dal 2002

(lettera dell'estate 2007)


Quando ero ragazzo, in parrocchia mi è capitato di leggere un libro scritto da un frate minore, padre Van Straaten, fondatore dell' "Aiuto alla Chiesa che soffre", Dove Dio piange. Credo che questo libro abbia segnato in un modo determinante la mia vita per quanto riguarda la scelta di consacrazione e anche quella missionaria.
La vita di missione mi ha sempre affascinato per la possibilità di condividere e di aiutare i più poveri. Nella mia formazione sono entrato in contatto con la nostra missione di Turchia che, pur nella sua importanza, non riuscivo a sentire mia per il particolare tipo di presenza che richiede. Diversa è stata invece l'esperienza che ho vissuto nel '95 in Brasile. Visitando i nostri conventi e le attività che svolgevano i Cappuccini di Bahia, Rio, San Paolo e Porto Alegre, si è risvegliato in un modo molto forte il desiderio di partire per la missione.
Vedere la drammaticità di tante situazioni (povertà, bambini di strada, senza terra), la presenza bella e viva offerta dai frati che condividevano, nel vero senso della parola (vivendo con gli sfollati, nelle baraccopoli, vicino alle discariche, minacciati per le denuncie fatte contro la violenza e lo sfruttamento della prostituzione), la vitalità delle comunità di base, ha rimesso in discussione tante cose circa il mio modo di vivere la consacrazione. È iniziata una fase di inquietudine sulla scelta e la vita religiosa abbracciata. Il sentirsi insoddisfatto sul modo di viverla, per la distanza da situazioni di povertà, sofferenza, sfruttamento, per l'impossibilità di condividere davvero la vita con gli ultimi, per la scarsa radicalità di essere fratello, minore e cappuccino (vedendo la ricca tradizione caritativa del nostro Ordine).
Per questo, diverse volte ho chiesto al mio Ministro provinciale di aver la possibilità di andare in missione. Questa inquietudine mi ha portato a partecipare a un campo di solidarietà missionaria a Sighet (Romania) e, vedendo la drammaticità di certe situazioni, la mancanza di prospettiva per tanti giovani, l'assenza della famiglia, la sofferenza provocata dall'abbandono, l'importanza di offrire un ponte ai nostri giovani per aprire gli occhi su queste realtà, è rinata l'insoddisfazione e l'inquietudine. È rinata la chiamata alla missione che era all'origine della mia vocazione.
Ambiti di intervento

Dal 2002 anni è iniziata questa esperienza a Sighet (Romania) vivendo, in un primo momento, in una casa-famiglia con otto ragazzini provenienti dall'orfanotrofio. Dopo un anno noi frati abbiamo aperto un oratorio, il Centro Giovanile "San Francesco", dove mi sono trasferito e che poi dall'autunno 2006 ha visto la nascita di una fraternità, con l'arrivo di due frati della Custodia di Romania, Ciprian e Florin. Le attività che da allora sono nate sono varie e riguardano principalmente cinque ambiti: Centro Giovanile, Sostegno alle Famiglie, Collaborazione con gli Orfanotrofi, Integrazione in Società, Esperienze di Missionarietà.

Centro Giovanile "S. Francesco": luogo di incontro dove vengono i giovani per una formazione umana, spirituale e lavorativa. Vogliamo offrire un ambiente "pulito" e positivo dove i giovani siano sostenuti e incoraggiati (offrendo quello che dovrebbe fare la famiglia che invece manca o spinge in altre direzioni negative) e possano fare esperienza di amicizia e fraternità. È nato il "Gruppo Speranza" di cui fanno parte una quarantina di giovani (dai 14 ai 23 anni) e con loro facciamo incontri di formazione umano-cristiana e attività di volontariato. Con loro andiamo settimanalmente negli orfanotrofi e nelle case-famiglia in città per fare attività ricreative con i bambini, in modo che loro stessi si facciano carico dell'impegno di rispondere alle necessità e sofferenze dei loro "amici" più piccoli. Ad alcuni è data anche la possibilità di lavorare nei laboratori (di falegnameria e cucito) per sostenere la famiglia, i bisogni che hanno e mettersi qualcosa da parte per il futuro.

Sostegno alle Famiglie: l'obiettivo è quello di ricreare un ambiente familiare positivo (materiale e umano) per i ragazzi, perché è lì che si confrontano quotidianamente. Siamo intervenuti ristrutturando gli appartamenti (bagni, stufe, acqua, luce, lavatrice) o rifacendo la casa, come è avvenuto già per sei famiglie (alcune delle quali vivevano in condizioni impossibili), in modo da offrire un ambiente dignitoso. Nello stesso tempo si pongono alcune condizioni: si esige che lascino l'alcol, che i bimbi vadano a scuola e che uno dei genitori vada a lavorare. Ad alcune famiglie si pagano gli alimenti (pane e generi più importanti) in un negozio vicino. Gradualmente si cerca di renderli autonomi, ma questo chiaramente richiede una presenza assidua nel visitarli. Il nostro sostegno poi si apre anche al campo scolastico (pagando convitti, ore di ripetizione, tasse universitarie e abbonamenti a chi non potrebbe permetterselo) e sanitario (medicine, ricoveri, dentista, occhiali).

Collaborazione con gli orfanotrofi: pensate che solo a Sighet ci sono 3 orfanotrofi e 13 case di tipo familiare. Oltre alla presenza con i nostri volontari, cerchiamo di sostenere gli sforzi che le istituzioni stanno facendo per creare un ambiente accogliente e familiare per questi ragazzi. Purtroppo devono fare i conti con la scarsità di risorse finanziarie (anche se la situazione sta migliorando). Li abbiamo aiutati nel rinnovare alcuni ambienti, con le medicine e con gli alimenti che mensilmente portiamo. Inoltre, sosteniamo alcuni ragazzi che continuano gli studi (università in particolare) pagando le rette. Un grosso progetto realizzato è stato quello che riguarda l'orfanotrofio di Sighet che, grazie all'aiuto della CISL di Reggio Emilia e altre istituzioni e privati, abbiamo completamente ristrutturato creando 6 appartamenti-famiglia.

Integrazione in Società: il problema per molti ragazzi che escono dall'orfanotrofio è quello di inserirsi in società (lavoro e alloggio) perché non sono bene accolti e perché loro stessi fanno fatica a gestirsi. Umanamente sono inconsistenti e, sicuramente, le esperienze che hanno vissuto li hanno indeboliti e non sono capaci di scegliere e perseguire il loro vero bene. Questo, fortunatamente, non per tutti, ma anche le esperienze di quest'ultimo periodo ci hanno dimostrato la difficoltà a reintegrarli. Gestiamo un appartamento per accogliere le ragazze che escono dagli istituti e poterle accompagnare in questa prima fase di autogestione.
Nascita di una casa-famiglia: grazie all'aiuto di un'associazione, abbiamo acquistato e ristrutturato una casa che nell'autunno prossimo speriamo di aprire per accogliere bimbi provenienti dall'orfanotrofio o da queste famiglie problematiche. L'idea è quella di offrire loro, grazie alla presenza di una coppia di genitori, l'esperienza di una vera famiglia. L'abbandono continua ad essere un'emergenza che tocca e coinvolge in un modo molto forte, anche perché si vede purtroppo come vanno a finire questi ragazzi che sono segnati duramente dall'abbandono.


Esperienze di missionarietà: uno degli obiettivi della nostra presenza è quello di far da ponte tra queste realtà e i giovani italiani, in modo da permettere loro di toccare con mano ("Vieni e vedi") la vita in missione. Infatti si organizzano in estate "Campi di Solidarietà" in cui i giovani italiani vengono per fare attività negli orfanotrofi, nelle case-famiglia e nei campi giochi con i bimbi che vanno alla mensa delle suore. In questo modo hanno la possibilità di vedere in prima persona la sofferenza che segna chi è abbandonato, chi s'incontra quotidianamente con la violenza, l'indifferenza, la povertà. È un'esperienza che generalmente provoca in un modo molto forte perché produce in chi partecipa un senso di inquietudine che spinge all'impegno per rispondere a tutti questi problemi.
La povertà dello spirito

Dopo anni di confronto con queste situazioni, si vede che la povertà maggiore che schiaccia queste persone non è tanto la povertà materiale, quanto quella morale e spirituale. Si ha a che fare con persone che non hanno la capacità di gestirsi, di relazionarsi, di pensare al domani, di essere responsabili. Questo è conseguenza della mancanza della famiglia e dell'abbandono, dell'assistenzialismo che per anni ha caratterizzato la storia della Romania. Farsi carico di queste persone vuol dire iniziare un cammino educativo enorme e che non sai come finirà. Vari dei ragazzi che abbiamo seguito e che seguiamo non riescono a entrare in un logica diversa.
Credo che non sia semplicemente questione di non volere, ma di non avere i mezzi per comportasi altrimenti perché non sono stati formati, non riescono a capire. È un'eredità che porteranno con sé per sempre. Condividere vuol quindi dire farsi carico di questa povertà, di queste persone che sono così e sono da accettare come sono, accontentandosi dei piccoli miglioramenti che si riescono a realizzare; questo però non è sempre facile, anzi credo che sia la fatica maggiore che si fa, perché si ha a che fare con un'umanità "segnata" negativamente e non hai una base su cui costruire. C'è però da riconoscere che ci sono tanti che invece approfittano positivamente dell'aiuto che gli si offre e crescono diventando responsabili.

Per questo il cammino di crescita della società rumena è e sarà un cammino lungo e faticoso, perché porta sulle spalle un peso enorme, il peso di un passato che l'ha impoverita. Pensate che nella prigione di Sighet nel periodo comunista sono morti (a causa delle condizioni disumane, delle botte e delle malattie) uomini di cultura, politici, vescovi, in pratica l'elite culturale e spirituale del popolo rumeno degli anni '50. E per 40 anni sono stati schiacciati da una dittatura che li ha tenuti nel terrore e nella povertà.

L'apertura che ha caratterizzato la caduta del regime e l'entrata nella Comunità Europea ha portato a un miglioramento del livello di vita, che però non è stato accompagnato da una crescita di valori. Il nostro Occidente si è preoccupato di riempire questo popolo di consumismo e di materialismo, senza dargli i mezzi per gestirlo. In più continua a obbligare il meglio della società rumena a emigrare perché qui non vedono riconosciute le loro capacità e il loro lavoro. Continua quindi ad essere una società a cui è tolta l'elite culturale e lavorativa. Sono tantissimi quelli che partono per lavorare in Europa per avere un futuro diverso, per sostenere la propria famiglia e dare ai figli la possibilità di studiare. Ma questo provoca la separazione dalla propria famiglia, l'abbandono dei figli lasciati, in molti casi, in custodia a parenti o vicini, il confronto con un mondo che promette tutto, l'illusione di raggiungere la felicità attraverso i soldi, la caduta in un materialismo sfrenato da raggiungere a qualunque costo. Per cui la società rumena continua ad essere una società che aggiunge problemi a problemi che avranno ripercussioni pesanti sulle nuove generazioni.
In questo ambiente si trova ad operare la Chiesa, che ha una missione fondamentale. Infatti la fede è l'unica realtà in grado di illuminare un cammino per recuperare umanità, verità, solidarietà, la vera dimensione delle cose. In queste situazioni si capisce l'importanza e la ricchezza della fede. Purtroppo però le connivenze della Chiesa Ortodossa col potere (passato e presente), le tensioni tra le varie Chiese presenti (Chiesa Ortodossa, Greco-Cattolica, Latina, Protestante, Settari), una religiosità che a volte rasenta la superstizione, una spiritualità sganciata dalla vita, un'attività quasi solo sacramentale e la mancanza di pastorale (soprattutto nella Chiesa Ortodossa) sono i limiti che tolgono credibilità e rallentano la realizzazione di questo suo compito. Questo sarebbe il momento più propizio e in cui la società rumena avrebbe maggior bisogno di una presenza significativa e di una testimonianza di fede, comunione, verità.
Anche l'Ordine dei Cappuccini è presente in Romania da più di 10 anni, da quando i frati della Provincia di Napoli sono venuti nella terra di un loro beato, frate Geremia da Valacchia, le cui spoglie verranno riportate in Romania, nel Santuario di Onesti, nei prossimi mesi. L'attività vocazionale che hanno svolto ha prodotto dei buoni frutti; infatti, con quelli in formazione, sono circa una cinquantina i frati rumeni. È una presenza nuova ed in evoluzione e che ha bisogno di essere conosciuta, ma che può dire tanto alla società rumena.
Vorrei concludere con una frase di Raoul Follerau che a me piace tanto e che credo ci aiuti a vivere una fede capace di condividere e vivere come fratelli:"Ciò che importa è che la miseria degli altri s'imprima nella nostra carne, bruci il nostro sangue. Ossessioni i nostri pensieri troppo 'tranquilli', guasti il nostro cuore troppo sicuro di sé e scuota la tranquillità della nostra coscienza di benpensanti".


padre Filippo Aliani